Riacquistare la salute perduta, scriveva Scipione Mercurio ne gli errori popolari d’Italia (1603), dipende “non solo dal buon medico, ma dall’ubbidienza del malato, da gli astanti (i medici degli ospedali) prudenti e pazienti, dallo speziale intelligente e diligente, dall’aere buono e da gli aspetti de’ Cieli”. Fra tutti questi numerosi fattori, continuava il Mercurio, che a Padova aveva studiato ed esercitato l’arte medica, nessuno più dello speziale avrebbe potuto essere d’aiuto o nocumento.
Questi speziali, “gente di malizia sinistra” sono parole di Tomaso Garzoni (1549-1589), si ingegnavano con tanta industria nell’ingannare gli altri con arti sottili che commettevano “molte fraudi ed inganni”, vendendo “robba marcia, vecchia e fradicia”, aggiungendo pane abbrustolito e grattugiato al pepe, curcuma allo zafferano e limatura di ferro alle spezie, aumentando in tal maniera e peso e guadagno. Beninteso in quest’ultimo caso la condanna di Garzoni riguarda l’avidità non la bontà della rimedio perché la limatura di ruggine, materia minerale, almeno fino al Settecento, era contemplata, assieme a gesso, cinabro, a pietre preziose come il diamante, a parti di animali come corna di cervo, grasso, fiele e sterco fino, lo ricorda ancora Mattioli, sebbene già ne mettesse in dubbio la reale efficacia, la mummia le cui parti, opportunamente grattugiate, potevano curare, lo assicuravano tra gli altri l’autorità di Rhazes e Avicenna, paralisi, epilessia, emicrania, vertigini e il mal di gola. Mal di gola che penso sia invece venuto a quel tale ricordato da Realdo Colombo (c.1510-1559) nel De re Anatomica, (il fatto è citato in una memoria di Leopoldo Caldani del 1786) che soleva esibirsi nella bottega di Martino speziale all’insegna dell’Angelo e per pochi spiccioli “si masticava e inghiottiva il vetro, e qualunque altra cosa”. E “Mangiavetro” questo il suo nomignolo, un giorno trangugiò il carbone dei fornelli assieme al sacco che lo conteneva facendo montare quello speziale in tale collera che lo bandì per sempre dalla sua bottega; evidentemente “Mangiavetro” aveva esagerato
È possibile visitare la mostra virtuale Medicamenta che descrive la storia delle malattie e dei rimedi messi in atto per sconfiggerle che emergono nei libri antichi conservati nella Biblioteca di Scienze del Farmaco dell’Università di Padova”. Questi volumi, in origine, facevano parte del fondo della biblioteca dell’Orto botanico dell’Università di Padova.
È in questo contesto (delle sofisticazioni operate dagli speziali dico, non del trangugiare o picacismo o allotrifagia, per questo ci sarebbe occorso molto altro tempo) che dobbiamo leggere le parole contenute nell’atto di fondazione dell’Orto botanico dello Studio di Padova che decretava di istituire, assieme a quel fornitissimo giardino, anche una spezieria per contrastare e contenere quelle infinite frodi ed errori commessi “a destruzione della vita delli homeni”. Opportunità questa sollecitata nel 1591 ne L’horto de i semplici di Padoua dotando quel luogo di strumenti per la materia medicinale “come fondarie, distallatorie, e altre sì fatte”
Se la “malizia sinistra” degli speziali non fosse bastata, avrebbero potuto aggiungersi, spesso con esiti funesti o fatali per il malato, errore ed ignoranza. In un’epoca nella quale l’illustrazione botanica era ancora agli albori il fraintendimento era sempre alle porte: l’hermodattilo veniva confuso col velenosissimo colchico e l’harmel con la cicuta, tanto che Pietro Antonio Michiel (1510-1576), non senza polemica scriveva: “bisognerebbe dargiele a loro che le mangiassero tali composizioni”, peccato che lui stesso commettesse errori.
La mostra “illustrazione botanica“ evidenzia la storia, l’evoluzione e le tecniche dell’illustrazione botanica testimoniata nei volumi conservati presso la Biblioteca dell’Orto Botanico dell’Università degli Studi di Padova”. Per lungo tempo le immagini continuarono ad essere copiate, ad essere “copie di copie” (fossero tratte da manoscritti, incunaboli o libri a stampa a caratteri mobili) e solo in seguito cominciarono ad essere frutto di un’osservazione diretta.
A distanza di un paio di secoli Pietro Arduino (1728-1805) ricordava che uno speziale padovano aveva raccolto e somministrato semi di stramonio al posto di quelli di bardana, prescritti dal medico, con la conseguenza che quel poveretto uscì di senno rischiando di chiudere in questo modo la sua partita con la vita.
Nel corso Settecento furono sempre più serrate (quanto inascoltate), le critiche alla preparazione degli speziali e alla necessità di proporre loro un’adeguata formazione promossa dall’Università; ci provarono, con poca soddisfazione, Scipione Maffei (1675-1755), Pietro Arduino (1728-1805) e da ultimo Marco Carburi (1731-1808) l’unico che riuscì a proporre e tenere lezioni ad un corso per l’insegnamento agli speziali durante la Municipalità democratica, almeno fino all’arrivo degli austriaci quando Carburi, compromesso politicamente dovette andarsene. Nell’Ottocento, comunque, si fecero progressi tanto che nel 1875 si istituì la Scuola di farmacia autonoma.
Nell’allestimento del nuovo Museo botanico è stata inserita una spezieria che comprende una collezione di droghe, preparazioni e strumenti in essa presenti: mortaio, torchio, bilancia, alambicco. Finalmente a distanza di quasi cinque secoli, grazie alla generosità di Giuseppe Maggioni, gli arredi di un’antica spezieria rurale del Padovano, è diventata parte dell’Orto botanico.